Associazione Paideia: Bonifica della Collina dei Veleni a Crotone: Un Confronto tra Due Metodologie
La questione della bonifica della Collina dei Veleni a Crotone sta generando un acceso dibattito, con due approcci principali a confronto:
A) Messa in Sicurezza in Situ
Questa metodologia, adottata nei paesi più avanzati del mondo, prevede la messa in sicurezza dei siti contaminati direttamente sul luogo. Negli Stati Uniti, per esempio, si stima che 400.000 siti industriali dismessi vengano gestiti in questo modo. La proposta per la Collina dei Veleni contempla una copertura totale della zona, con lastre di ferro-cemento su entrambi i lati e barriere idrauliche marine. Inoltre, l’installazione di palancole in acciaio fino ai fondali previene qualsiasi dispersione di polveri inquinanti. Questo approccio evita un aumento del traffico di camion sulle strade locali, come la consortile e la SS106. Una volta completata la tombatura, si aprirebbero possibilità per Eni Rewind, il Governo nazionale e la Regione Calabria di attivare fondi europei e nazionali per la creazione di una grande banchina portuale. Questo progetto potrebbe trasformare Crotone in uno dei principali porti turistici e commerciali del Mediterraneo, generando un notevole numero di nuovi posti di lavoro.
B) Movimentazione dei Rifiuti
Al contrario, Eni Rewind, in collaborazione con enti territoriali e il comitato “Fuori i Veleni”, sta procedendo con l’escavazione e il trasporto di 1.200.000 tonnellate di rifiuti altamente inquinati e radioattivi. Tuttavia, questo metodo presenta gravi preoccupazioni: l’escavazione all’aperto, anche con l’ausilio di nebulizzatori, non riesce a garantire un adeguato controllo delle polveri tossiche, specialmente in condizioni di vento. La movimentazione dei materiali sarà interrotta quando i venti superano i 30 km/h, il che solleva interrogativi sulla tempistica necessaria per il completamento delle operazioni. Inoltre, l’imminente stagione delle piogge potrebbe aggravare ulteriormente la situazione, con il rischio che i terreni contaminati vengano dilavati e dispersi nell’ambiente circostante.
Non da ultimo, le dichiarazioni di Eni Rewind e di esperti come il professor Salvatore Straface e l’ingegnere Antonio Bevilacqua sollevano l’allerta riguardo all’efficacia delle barriere idrauliche, che hanno già consentito l’intrusione del cuneo salino nel Sin di Crotone.
L’Associazione Paideia richiede pertanto a Eni Rewind, rappresentata dal generale Emilio Errigo, di fornire un certificato, convalidato da Arpacal Calabria, attestante la qualità delle acque emunte e la concentrazione di cloruri. È fondamentale anche conoscere le velocità effettive e la direzione del flusso delle acque di falda.
Infine, poniamo una domanda cruciale, sollevata da un muratore con la quinta elementare e che dovrebbe essere la prima a essere considerata: “Cosa si farà al posto della mega buca di 1.200.000 metri cubi che Eni Rewind scaverà? Con quali materiali sarà riempita? In quanti anni o decenni? Chi si farà carico di recuperare i fondi pubblici necessari per il ripristino delle aree interessate?” Le aree rimaste di proprietà di Eni Rewind e quelle pubbliche adiacenti, situate nel centro città, rischiano di diventare per decenni reliquati abbandonati, assimilabili a deserti lunari.
L’Associazione Paideia invita tutti gli attori coinvolti a riflettere attentamente su queste questioni e a scegliere la soluzione più sicura e sostenibile per il futuro di Crotone e dei suoi cittadini.

