Standing ovation per “La Stanza di Agnese” In scena la vita privata di Paolo Borsellino narrata dalla moglie Agnese
Tra le autorità civili e militari anche il presidente del Tribunale di Palermo Morosini
Lamezia Terme, 11 luglio 2024 –“Il teatro è un mezzo per veicolare messaggi importanti come la memoria”.Così Sabrina Pugliese ha aperto “La stanza di Agnese”, la stanza, l’anima, di Agnese Piraino Leto, moglie di Paolo Borsellino.A trentadue anni dalla strage di Via d’Amelio, la Compagnia teatrale I Vacantusi, in collaborazione con l’Associazione Nazionale Magistrati Distretto di Catanzaro, hanno messo sulla scena del Teatro Grandinetti di Lamezia Terme il monologo che Sara Bevilacqua ha scritto e interpretato per ricordare, attraverso le parole d’amore della moglie, il giudice, l’uomo, Paolo Borsellino. I numerosi spettatori presenti in sala hanno seguito con trasporto ed emozione il ricordo d’amore di Agnese e hanno accompagnato con forti applausi la fine dello spettacolo, con tanto di standing ovation. Presenti al teatro le più alte autorità civili e militari del Distretto di Catanzaro e del Presidente del Tribunale di Palermo Piergiorgio Morosini. Le parole con le quali il dott. Giovanni Strangis, Presidente ANM di Catanzaro, ha introdotto la serata valgono senz’altro a sintetizzarne il significato che è quello dell’importanza della legalità in ogni ambito in cui viviamo e la necessità di “lottare per la dignità della nostra vita civile”.
Su di un palcoscenico scuro, al centro c’è la stanza di Agnese tappezzata di un rosso verticale, che spezza la scena, scena evocativa del sangue versato per la verità, prezzo che si paga per squarciare le tenebre dell’ingiustizia, della sopraffazione, dell’ignoranza. Sotto i riflettori, seduta nella sua casa a ripercorrere i momenti della vita della sua famiglia, Agnese Borsellino ha solo apparentemente dialogato con sé stessa. Le sue parole erano, infatti, le frasi di un suo continuo, intimo, dialogo d’amore con il marito, con cui ci ha permesso di scoprire quell’umanità che caratterizzava la persona di Paolo Borsellino e che ne ingigantisce ancor di più la statura pubblica del Magistrato, che ha fatto la storia del nostro Paese.
La verità padroneggia la rappresentazione teatrale. Nel buio che sulla scena la circonda, la stanza di Agnese è l’unico spazio illuminato. La luce che ci si riflette è quella dell’amore della famiglia del giudice Paolo, di un amore talmente e naturalmente saldo e profondo da avere consentito al magistrato di poter essere un uomo libero. Perché libero è l’uomo che, pur osteggiato, boicottato, tradito e anche lasciato solo, può comunque sempre contare sull’affetto e la solidarietà dei propri cari. La certezza che ha, dunque, un uomo, di non avere nemici in casa è in parte la più naturale ragione per non temere i nemici fuori. Il racconto di Agnese è stato quello della normalità dell’uomo Paolo Borsellino, una normalità che però era la sua aspirazione, e non la sua realtà. Il Giudice era uomo intelligente, di cultura, di spirito, affettuoso, simpatico a cui piaceva “babbiare”, e al suo “babbio” sdrammatizzante faceva eco solo il controcanto fintamente seccato, ma sempre compiaciuto della moglie. Doti umane, queste, che lo avevano portato a credere nella forza inesorabile dell’adempimento del dovere, pur nella tragica consapevolezza della portata rivoluzionaria della sua azione di magistrato, che proprio per questa ragione, facendo la storia del Paese, con la Storia avrebbe dovuto, purtroppo, inesorabilmente, fare i conti.
La bravura di Sara Bevilacqua è stata proprio quella di aver raccontato una vita che avrebbe dovuto essere normale – perché normale è essere dalla parte dello Stato – attraverso una narrazione della trama degli eventi vista con il senno del poi e, quindi, con l’amara e disincantata consapevolezza che la catena di lutti si era dipanata in modo inevitabile. Ricorre nella rappresentazione, lo squillo del telefono che, come una sorta di campana, rintocca ad ogni uomo, ad ogni servitore dello Stato ucciso dalla ferocia inaudita della mafia. Lo squillo del telefono che suona a morto, prima sporadico, gradatamente diventa quasi abitudine, tanto da finire per essere un evento atteso in casa Borsellino.