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Cyberbullismo: al Telesio di Cosenza parte il Progetto di formazione e prevenzione

“Se siamo qui è per evitare di farvi sperimentare l’esperienza di un processo!” Così Roberta Mallamaci, giudice penale ed onorario del tribunale per i minori di Catanzaro parlando agli studenti del Liceo Classico Telesio di Cosenza nell’ambito del progetto per la prevenzione e il contrasto del cyberbullismo.

“Tienilo acceso” Naviga in rete, posta, commenta e condividi senza spegnere il cervello”, il titolo che ha ispirato l’incontro ospitato nell’Auditorium Antonio Guarasci, e che ha visto la partecipazione dell’Associazione “Ciak – Formazione & Legalità” di cui la Mallamaci è Presidente.

La Scuola diventa così sede di formazione e prevenzione, presidio di legalità. “Oggi non è un giorno di scuola perso. Anche se non fate lezione in classe con i vostri professori state facendo formazione confrontandovi con esperti del settore e su un tema spinoso come quello della violenza praticata in rete” ha precisato il Dirigente Antonio Iaconianni introducendo i lavori.

 La problematica in questione è tornata alla ribalta dopo i tanti casi di cronaca che presentano le conseguenze eclatanti del cyberbullismo. Le vittima si tolgono la vita per la vergogna, il senso di inferiorità, l’umiliazione di ritrovare la propria immagine ridicolizzata sparsa per il mondo. “La vostra è un’età – ha detto la Mallamaci- che vi rende imputati in processi penali nella malaugurata ipotesi che commettiate un reato. In quanto considerati capaci di intendere e volere risponderete personalmente della vostra responsabilità penale. Già questo dovrebbe farvi riflettere più attentamente sui comportamenti da attuare nei confronti dei vostri simili”. Puntare uno smartphone con l’intenzione di far del male alla persona ledendo la sua reputazione ed onorabilità, è come puntare un’arma, l’una ferisce nell’animo, l’altra nel corpo. “Il sistema processuale minorile-ha proseguito il giudice rivolgendosi ai ragazzi- non vuole punire ma rieducare. Con i minori non si considera il fatto ma la persona. Non sentirete mai in quelle aule termini come delinquente o criminale, perché nei minori non c’è quasi mai la piena consapevolezza delle conseguenze delle proprie azioni “svaloriali”, eccetto nel caso di omicidi, quando il minore è inserito in circuiti legati alla malavita organizzata, pericolosi e dolorosi e anche lì si cerca di far comprendere al minore che non è quello il posto in cui deve stare”. Dopo aver snocciolato il funzionamento del sistema processuale minorile la Mallamaci ha mostrato le carte giudiziarie con le dovute omissioni per impedire di ricostruire l’identità di vittima e carnefice. Una storia vera quella raccontata agli studenti, partita con una conoscenza in chat e finita con una denuncia, una condanna ed un tentato suicidio. “Anche se ripulite lo smartphone la polizia postale ritrova tutto. Ormai non sfugge niente” ha chiosato La Mallamaci.

“Il like ricevuto non ci fa guadagnare veri amici e il rapporto tramite monitor non è reale. Si finisce per disumanizzarsi facendosi dominare dal virtuale e perdendo ogni contatto con la realtà!” è quanto affermato dalla psicologa dell’Associazione, dott.ssa Sabina D’Alessandro, che ha evidenziato come l’85% dei ragazzi tra gli 11 e i 17 anni abbiano uno smartphone, in barba agli appelli dei neuropsichiatri che cercano di posticipare il più possibile l’utilizzo di tali strumenti da parte dei minori, spesso incapaci di discriminare i contenuti propinati dalla rete. Il silenzio è complice e l’esserci è già reato. Non serve chiamarsi fuori, serve piuttosto accendere il cervello prima di ogni altro dispositivo.

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