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Dopo tutti i sacrifici che ho fatto, ho paura di perdere mio figlio! Aiutateci.

Se da quando siamo, e ci muoviamo all’interno del profondo, complicato e vasto mondo del sociale, abbiamo deciso di chiamarci “Libere Donne”, un motivo ci deve pur essere. 

Volevamo essere uguali ed alla pari delle tante donne disperate che aiutiamo e sosteniamo ogni giorno, ma allo stesso tempo diversi da chi invece, istituzionalmente, “spaccia” per sociale qualcosa che gli assomiglia davvero molto poco. Purtroppo. 

Lo affermiamo con cognizione di causa, supportati da prove e testimonianze di donne che non si sentono capite, tutelate, difese e, credeteci, nonostante la rabbia e l’indignazione, la cosa ci rattrista davvero tanto. 

Non possiamo accettare infatti che, a patire ed a soffrire ulteriormente, siano donne già duramente colpite e provate da una esistenza violenta, vissuta ai limiti della sopportazione, e che viola prepotentemente tutti i sacrosanti diritti umani. 

Donne costrette a subire abusi fisici e morali di ogni genere, e che quando, stremate e terrorizzate, con la speranza nel cuore riescono a trovare il coraggio di denunciare, molto spesso purtroppo, si trovano poi a dover scalare un’altra montagna: quella della freddezza, della presunzione, della incompetenza e scarsa professionalità, di chi opera nel sociale all’interno delle pubbliche amministrazioni. Gente che molto probabilmente, elementi indispensabili quali accoglienza, ascolto, comprensione ed amore, evidentemente non sanno neanche cosa siano. 

Tutto ciò, ovviamente contestualizzato, è grave, molto grave. 

A chi ti chiede aiuto piangendo infatti, devi lanciare un “salvagente”, non una improbabile barchetta in mezzo ad un mare di squali. 

Troppo facile e comodo emettere “sentenze” da scrivania, aprire un fascicolo e pensare che basti parcheggiare la vittima di una violenza in una struttura per risolvere la situazione. Non è cosi. 

C’è di mezzo la sicurezza, l’incolumità e la serenità di donne che spesso devono pensare anche al bene ed al futuro dei propri figli. 

Noi, ma anche altre associazioni del territorio crotonese, sappiamo molto bene che il difficile comincia dopo, durante il nuovo percorso di vita, e non prima. 

E che, soprattutto, è sempre e solo una questione di umanità. Se non c’è quella è meglio che cambi “mestiere”. 

E se in questo nostro discutibile “sistema” c’è da intervenire cambiando il modus operandi dei “servizi sociali”, allora che lo si faccia, ed anche in fretta. 

I femminicidi, per quanto possibile, vanno prevenuti, e non attesi per poi essere pianti, fra finti lutti e lacrime artificiali. 

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