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Accademia delle Tradizioni Enogastronomiche di Calabria mette un punto sulla ricetta dei turdilli tradizionali

Quasi ogni anno, l’Accademia delle Tradizioni Enogastronomiche di Calabria, un’associazione culturale riconosciuta, interviene con puntualità e rigore sui grandi temi dell’enogastronomia tradizionale regionale. Questo impegno costante non nasce dalla volontà di “imporre” verità, ma dalla necessità di tutelare un patrimonio fragile: quello delle ricette identitarie, tramandate per secoli dalla cultura contadina.

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Il dibattito sui turdilli

Negli ultimi giorni, si è acceso un acceso dibattito sulla ricetta “vera” dei turdilli, dolce natalizio simbolo della Calabria rurale. Questo dolce, povero negli ingredienti ma ricco di memoria e gusto antico, ha visto emergere su social network versioni fantasiose e distorte. Tra video virali e racconti romanzati, sono apparse ricette con uova in abbondanza, zucchero a chilate, lievito e latte, ben lontane dalla tradizione.

L’Accademia è intervenuta per chiarire un punto fondamentale: esiste una differenza tra un dolce ispirato alla tradizione e una ricetta che non ha radici autentiche. La missione dell’Accademia è il recupero, la conservazione e la valorizzazione delle autentiche ricette calabresi, garantendo una corretta divulgazione anche al di fuori dei confini regionali. Non a caso, l’Accademia è socia della FICE – Federazione Italiana Circoli Enogastronomici.

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La rischiosa diffusione di ricette errate

Diffondere ricette errate, per quanto “accattivanti” dal punto di vista mediatico, non va in questa direzione. Anzi, rischia di consegnare alle nuove generazioni procedure sbagliate e una memoria culinaria falsata.

A chiarire la questione è Giorgio Durante, presidente dell’Accademia delle Tradizioni Enogastronomiche di Calabria e responsabile della didattica dell’ITS Iridea Academy, specializzata in alta formazione agroalimentare. Durante afferma: «Il turdillo, anche nelle sue diverse declinazioni locali del nome, è un dolce povero della tradizione contadina. Nasce con i pochi ingredienti disponibili: vino, olio d’oliva, farina e miele, spesso di fichi, poiché un tempo le api erano rare e raccoglierne il miele era difficile».

La preparazione tradizionale

La preparazione del turdillo era semplice, come semplice era la cucina contadina. Si bolliva in parti uguali vino e olio d’oliva, aromatizzando con scorza d’arancia, cannella e, occasionalmente, un chiodo di garofano. A parte, si creava una fontana di farina di frumento nella quale versare il liquido caldo, impastando fino a ottenere una consistenza adatta a formare filoni.

Questi venivano poi tagliati in piccoli tronchetti e “scavati” come grosso gnocchi su un “crivo rigato”. Fritti in olio, i turdilli venivano immersi nel miele di fichi sciolto in padella, fino a impregnarsi completamente. Così realizzati, si conservavano per mesi nel “salaturo” di argilla.

Un dolce di tradizione

Il turdillo è un dolce destinato alle feste, simbolo di competizione tra mamme e nonne, con l’unico “lusso” concesso di aggiungere codette colorate. Mettere un punto sulla ricetta dei turdilli non significa chiudere il dibattito, ma restituire dignità e coerenza a una tradizione che non ha bisogno di essere stravolta per rimanere attuale. La cucina contadina calabrese parla con pochi ingredienti, ma con una voce fortissima. E va ascoltata con rispetto.